9.10.21

Non c'è più niente da fare (Carlo Flamigni)

 

© FRANK FOSTER








NON C'È PIU' NIENTE DA FARE


Quando i sassi nella strada diventano troppi,
quando non vedo più la luna, dietro ai pioppi
e quando si fa più freddo dentro che fuori
e la notte, tutto intorno, si fa buia.
Chiudo gli occhi e mi fermo ad ascoltare
e mi arrivano all'orecchio le voci di casa mia.

La voce del mio babbo che parla più forte
e quando è allegro fa sbattere le porte,
che parla delle pesche, che quest'anno son più belle.
Che racconta un fatto, in cui c'entrano le ragazze,
e poi inizia a chiedermi del mio lavoro,
e io capisco: che quello che vuole sentire
non è lo stesso, di quello che gli voglio dire.

Come faccio a raccontargli quanta fatica
è fare finta di essere contenti se il cuore grida?
Fra questo muro che sembra tanto liscio,
andare su, andare giù, come una biscia...

E invece gli dico che tutti mi vogliono un gran bene,
che son sicuro che domani viene il sereno...
e lui mi ascolta, che sembra che stia in chiesa,
che per me si venderebbe anche la camicia.
E poi mi racconta dei giorni in cui andava a scuola
e lo dice in un modo che sembra una favola.

La voce della mia mamma non la sento più
da quando lei è andata al di là del fiume;
però, delle volte, la voce mi arriva,
forse perché mi chiama dalla riva.

Le parole, quelle no, non le capisco,
ma quel che vuole, mi pare di saperlo lo stesso.

Mi vuole dire che mi vuole bene, anche da lontano,
come quando stavamo mano nella mano.
Mi vuole spiegare che non devo aver paura
se la strada, dall'altra parte, mi sembra più buia.
Perché tanto c'è lei, che mi sta aspettando
e prima o poi verrà ad aiutarmi.

Il giorno che mi sarò stancato di questa buriana
il giorno in cui la vita mi parrà puttana
e la mia morosa mi avrà lasciato
capirò che non c'è più niente da fare.


- Carlo Flamigni -